La relazione d’aiuto nelle terapie complementari non è mai un percorso unidirezionale.
Chi aiuta e chi è aiutato condividono un cammino di crescita. Come diceva Carl Rogers:
“L’unico modo per aiutare qualcuno è comprenderlo nel suo mondo interno, perché è lì che si trovano le sue risposte.”
Questo approccio, integrato con tecniche complementari, apre nuove prospettive e offre strumenti efficaci per affrontare il disagio, trasformare le ferite emotive e trovare il benessere duraturo.
Tutti noi siamo stati educati a fare tutto il possibile, e l’impossibile, per aiutare gli altri. È un concetto che abbiamo profondamente radicato e che, senza dubbio, è encomiabile. Però, a volte, nell’atto di aiutare gli altri possiamo soffrire un’emorragia emotiva che finisce per esaurire la nostra energia e distruggere il nostro equilibrio psicologico.
“Prima di cercare di guarire qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare”, scriveva il grande Ippocrate, padre della medicina, intorno al lontano 300 a.C.”
La giusta attitudine per “aiutare” veramente
Quando una persona in difficoltà respinge il tuo aiuto puoi sentirti arrabbiato, frustrato o impotente. Ma devi capire che queste sensazioni non aiuteranno l’altro e neanche te. Si tratta di affrontare la situazione con un atteggiamento diverso, e per questo dovrai:
– Assumere che tutti devono imparare dai loro errori e superare i loro ostacoli. Dobbiamo smettere di agire come genitori iperprotettivi. Dobbiamo capire che ognuno deve imparare le proprie lezioni dai propri errori. Per quanto amiamo alcune persone, non possiamo sempre portare il loro “carico” o risolvere i problemi al posto loro, perché la crescita avviene proprio quando gli ostacoli che la vita ci pone davanti vengono superati.
– Smettere di pensare che le cose devono essere fatte in un modo preciso. In molte occasioni, questa tendenza ad aiutare nasce dalla convinzione che l’altra persona stia facendo “male” le cose, mentre noi crediamo di sapere come farle “bene”. In realtà, tutti devono trovare il loro modo di risolvere i problemi e sviluppare il loro stile di coping (affrontamento). Non esiste un unico modo di fare le cose quindi, prima di offrire il tuo aiuto, dovresti assicurarti di esserti liberato di questa convinzione altrimenti, probabilmente, potresti voler imporre la tua opinione o punto di vista, qualcosa che di solito non viene accolto bene e mette l’altro sulla difensiva.
Cosa puoi fare?
– Non fare pressione. Quando una persona non è preparata psicologicamente per cercare o accettare aiuto, il fatto di fargli pressione può avere l’effetto opposto a quello desiderato, portandola a chiudersi e allontanarsi da te. Pertanto, il primo passo è non fare pressione.
– Renditi disponibile. Il modo migliore per aiutare una persona che non vuole essere aiutata è stare (discretamente) al suo fianco fino quando avrà bisogno di parlare o deciderà di chiedere aiuto. Dobbiamo tenere presente che tutti devono attraversare una serie di fasi quando subiscono delle ferite emotive, e ve ne sono alcune in cui c’è bisogno di una spalla su cui piangere.
– Informati. Ciò che ha funzionato per te potrebbe non essere una buona soluzione per la persona che vuoi aiutare. Pertanto, è importante informarsi approfonditamente sul problema. È anche conveniente incoraggiare la persona a parlare del problema così sarà possibile capire la sua prospettiva. I consigli migliori provengono dall’empatia, se offri consigli dalla tua posizione e dal tuo punto di vista, le tue soluzioni potrebbero risultare perfettamente inutili.
– Stabilisci dei limiti. In alcuni casi, una persona in difficoltà può cadere in una spirale di autodistruzione e, se non fai attenzione, può trascinarti con lei. Pertanto, è importante stabilire dei limiti perché devi proteggere il tuo equilibrio emotivo se vuoi davvero aiutare l’altro. La buddista Pema Chodron disse una volta che: “lavoriamo su noi stessi per aiutare gli altri, ma aiutiamo gli altri anche per lavorare su noi stessi”, il che significa che l’atto di aiutare a risolvere un problema ci coinvolge anche a noi emotivamente, quindi dovremo decidere come affrontarlo nel miglior modo possibile.
C’è un limite oltre il quale la sopportazione cessa di essere una virtù.
Questa frase ci ricorda che ognuno di noi ha dei limiti. Spesso, la pazienza viene confusa con il sacrificio ingiustificato, con l’accettazione continua di situazioni che ci feriscono. Tuttavia, mantenere la propria dignità ed equilibrio significa riconoscere quando è il momento di fermarsi, proteggersi e ritrovarsi. L’aiuto offerto a qualcuno deve nascere dall’empatia, non dal sacrificio. Se l’altro rifiuta il nostro aiuto, insistere diventa una perdita di energia, e in questo caso la nostra pazienza smette di essere una virtù, trasformandosi in una forma di autonegazione.
Io non posso insegnare nulla a nessuno, posso solo farli pensare.
Per quanto possiamo desiderare di guidare, consigliare o condividere le nostre esperienze, non possiamo sostituirci al processo di apprendimento o trasformazione degli altri. Ognuno deve percorrere il proprio cammino, scoprire le proprie domande e le proprie risposte. Noi, come terapeuti, consiglieri o accompagnatori, siamo solo traghettatori su una barca: possiamo indicare una direzione, ma non possiamo remare al posto degli altri. La vera crescita nasce dal desiderio interiore di ciascuno di comprendere, cambiare ed evolversi.
Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.
L’ignoranza è un muro che ci separa dalla comprensione profonda della vita, degli altri e di noi stessi. Ma la conoscenza non significa solo accumulare informazioni. È il processo di guardarsi dentro, capire chi siamo, perché reagiamo in un certo modo, cosa ci blocca e cosa ci ispira. È un viaggio continuo, non una destinazione. Attraverso la conoscenza superiamo le paure, i pregiudizi e i limiti, aprendo la strada alla trasformazione.
Un messaggio sulla crescita personale e il cambiamento
Nelle relazioni di aiuto, che siamo terapeuti, amici o familiari, dobbiamo capire che la vera trasformazione inizia solo dall’interno. Non possiamo aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato. L’altro deve essere disposto a rinunciare a ciò che lo ha bloccato: abitudini, pensieri ed emozioni che gli hanno causato sofferenza. Questo è l’atto supremo di coraggio: guardarsi allo specchio, assumersi la responsabilità di sé stessi e scegliere di cambiare.
Come accompagnatori in questo percorso, abbiamo tre grandi missioni:
1. Offrire empatia e sostegno senza imporre soluzioni. Non esiste un modo unico di vivere o risolvere i problemi. Ognuno ha il proprio ritmo e il proprio percorso.
2. Stimolare la riflessione. Quando ispiriamo qualcuno a pensare, a domandarsi, a cercare, mettiamo in moto un processo alchemico di trasformazione interiore. Questo è l’inizio della guarigione e della conoscenza di sé.
3. Rispettare i limiti. Quando una persona rifiuta l’aiuto, non dobbiamo insistere, ma rimanere disponibili e mantenere il nostro equilibrio emotivo.
Il processo alchemico della trasformazione
Il cambiamento non è un evento improvviso, ma un processo continuo di evoluzione, un atto alchemico in cui sofferenza, consapevolezza e azione diventano gli ingredienti di base. Come nell’alchimia, dove il piombo diventa oro, il processo di trasformazione personale richiede il coraggio di accettare le imperfezioni e di aprirsi a una versione più autentica e luminosa di sé stessi.
Fede e coraggio nel cammino della vita
Con la fede, comprendiamo che possediamo dentro di noi tutte le risorse necessarie. Con il coraggio, scegliamo di affrontare le paure, superare i limiti e aprirci alla conoscenza. La crescita personale e spirituale è un cammino che ognuno deve percorrere da solo, ma non siamo mai veramente soli. Ogni ricerca è un gradino, ogni lezione è una pietra miliare.
La conoscenza ci libera. Ogni risposta si trova già dentro di noi, in attesa di essere scoperta.
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