La ferita invisibile della figlia senza padre
Una donna cresciuta senza la presenza del padre non vive soltanto l’assenza di una figura maschile,
ma attraversa una profonda disorientazione affettiva.
Nella sua mappa interiore, l’amore non ha un contorno chiaro
è piuttosto un ricordo vago di un amore mai ricevuto.
Dal punto di vista psicogenealogico, il padre non è solo un uomo.
È il simbolo primario dell’energia maschile sostegno, validazione, protezione, direzione.
Quando manca, la figlia parte inconsciamente alla sua ricerca in ogni volto d’uomo che incontrerà.
Ma questa ricerca non è consapevole è la replica di un vuoto ereditato,
una costellazione interna che si riattiva da un luogo ferito.
Così finisce per attrarre non uomini completi, ma uomini che riflettono il bisogno non guarito della bambina che vive ancora in lei.
A volte arrivano uomini freddi, assenti, distanti
come se la vita le stesse dicendo:
“Guarda, sei ancora là, nella tua infanzia.”
Altre volte arrivano uomini deboli, insicuri, passivi
e lei torna a essere la protettrice, la madre, la salvatrice.
Lei, la bambina non amata, diventa l’adulta che ama troppo.
Perché nessuno le ha mostrato cosa significa riposare nella sicurezza di un abbraccio maschile sano.
Non conosce l’equilibrio.
Vive l’amore negli estremi.
Troppo presto. Troppo distante. Troppo presente. Troppo assente.
E la verità più dolorosa:
continua ad attrarre ragazzi nel corpo di uomini.
Non perché non meriti di più,
ma perché nel suo inconscio, sta ancora cercando suo padre.
Non vuole soltanto un compagno.
Vuole l’abbraccio di un padre nel corpo di un amante.
Vuole essere vista. Scelta. Tenuta tra le braccia da una presenza ferma, ma gentile.
Ma non sa come chiedere senza perdersi.
Non sa come ricevere senza vergognarsi.
Non sa come essere amata senza diventare qualcun altro.
E il vero dramma è che, spesso, confonde l’amore con il trauma familiare.
Con quel “non ti posso amare come ne hai bisogno” che ha ricevuto per la prima volta da suo padre.
Offre il suo cuore a uomini che non la scelgono.
Recita ruoli per essere amata.
Si rimpicciolisce. Si trasforma.
Si accontenta delle briciole.
Le chiama banchetto perché la sua anima è stata affamata da così tanta assenza.
Finisce esausta, col cuore in ginocchio, chiedendosi se il problema sia lei.
Ma non lo è. Non lo è mai stata.
Il problema non è che non sia abbastanza.
È che ha imparato, fin da piccola, a dubitare del proprio valore
perché il padre, colui che doveva dirle quanto vale, è stato silenzioso, assente, smarrito o troppo ferito per poter amare.
Eppure… lei lo protegge.
Coprendo la sua assenza con scuse.
Lo chiama ferito, occupato, incompreso.
Rifiuta di pronunciare quella verità pesante, ma liberatrice:
“Mi ha fatto male.
La sua presenza assente o la sua totale assenza mi ha fatto male.”
Ma solo quando dice questa verità inizia la guarigione.
Solo quando smette di recitare ruoli e si rivolge con dolcezza alla bambina dentro di sé,
inizia ad attrarre da uno spazio di interezza, non dalla ferita.
E allora arriva un altro tipo di uomo.
Uno che la vede.
Uno che la sceglie.
Uno davanti al quale può essere donna non madre, non terapeuta, non salvatrice.
Una volta che fa pace con l’immagine del padre per com’era e lo sistema, nel cuore e nell’albero genealogico, al suo posto giusto diventa libera.
Libera di amare.
Libera di essere amata.
Senza dover chiedere perdono per ciò che è.