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Stigma – Il prezzo della normalità

I Greci, noti per la loro abilità nell’uso della comunicazione visiva, hanno coniato il termine “stigma” per indicare quei segni fisici che caratterizzavano ciò che era considerato insolito e riprovevole nella condizione morale di chi li portava. Questi segni venivano incisi con un coltello o marchiati a fuoco sul corpo, rendendo evidente a tutti che la persona in questione era uno schiavo, un criminale, un traditore o comunque un paria da evitare, soprattutto nei luoghi pubblici.

Con l’avvento del cristianesimo, il termine ha acquisito due livelli metaforici:

  • Il primo si riferisce ai segni corporei della Grazia, che si manifestavano come eruzioni cutanee.
  • Il secondo riguarda i segni corporei della disfunzione fisica, stabilendo un parallelismo tra una condizione medica e un significato religioso.

Oggi il termine viene utilizzato principalmente nel suo senso originario, ma si applica più alla mancanza che ai segni fisici della stessa. Inoltre, il tipo di difetti che suscitano repulsione e preoccupazione è cambiato nel tempo. Tuttavia, pochi studiosi hanno analizzato le basi strutturali dello stigma o hanno fornito una definizione chiara del concetto stesso.

Sembra quindi necessario, all’inizio di questa analisi, tentare di delinearne le definizioni e i presupposti generali.

Stigma e potere sociale

Lo stigma si colloca tra il potere dominante e gli esclusi e, al tempo stesso, tra le varie categorie di emarginati, appartenenti alla stessa o a diverse classi sociali. Le disabilità fisiche, le malattie mentali, le stigmate dell’alcolismo, del comportamento criminale e dell’estremismo politico assumono ruoli diversi e paralleli: alcune forme di stigma sono di tipo retrogrado (come l’intolleranza religiosa o la repressione delle devianze sessuali), altre sono perfettamente allineate al “piano generale” del sistema sociale.

La reintegrazione dei malati (come ex-malati), così come la “democratizzazione” delle cure, segue lo stesso schema dell’integrazione di un insegnante, un avvocato o un ballerino di colore: questi individui diventano modelli, ma al tempo stesso rappresentano un limite invalicabile per i giovani dei quartieri emarginati.

Malattia, devianza, inferiorità sociale e intellettuale non sono opposti dialettici di una stessa realtà storica; il loro contrario non è la salute, il comportamento corretto o l’uguaglianza, bensì la costruzione di un ordine sociale in cui il “normale” è definito solo dall’assenza delle caratteristiche attribuite al “non normale”. In questa logica, la superiorità non viene affermata esplicitamente, ma si esprime nella gestione del potere e delle sue narrazioni.

Stigma e identità negata – La visione di Goffman

Lo stigma, secondo Erving Goffman, non è solo un segno di esclusione sociale, ma un meccanismo di potere che definisce la normalità attraverso la marginalizzazione di chi non si conforma. Dall’antica Grecia alla società moderna, lo stigma si è evoluto: da un marchio fisico a un’etichetta sociale più sottile, riflettendo la paura della diversità e il bisogno di controllo.

Goffman svela che la normalità è una costruzione artificiale: la stigmatizzazione non riguarda solo gli esclusi, ma anche i limiti e i pregiudizi della società che la genera.

Nel suo saggio Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity (1963), Goffman analizza il modo in cui la società tratta coloro che vengono percepiti come “difettosi”. Definisce lo stigma come una caratteristica attribuita a un individuo che ne diminuisce il valore agli occhi degli altri, rendendolo “meno umano”. Questi segni possono essere:

  • Fisici (disabilità, deformità),
  • Di carattere (percepiti come debolezze morali),
  • Sociali (legati a razza, religione, orientamento sessuale).

Lo stigma crea una frattura tra l’identità idealizzata e quella reale. La persona stigmatizzata viene ridotta a questa sua caratteristica e trattata come un “altro”, portando a esclusione, discriminazione e sofferenza personale.

Inoltre, Goffman esplora le strategie con cui gli stigmatizzati gestiscono la propria condizione:

  • Nascondendo la caratteristica stigmatizzante,
  • Affrontando direttamente i pregiudizi.

La sua idea centrale è che lo stigma non riguarda solo l’individuo, ma l’intero sistema di relazioni sociali: la società stabilisce cosa è normale e chi è degno di inclusione. La stigmatizzazione riflette più le ansie e le insicurezze della società stessa che un reale problema dell’individuo colpito.

La normalità come costruzione sociale

Goffman ci invita a guardare oltre la facciata ordinata della normalità. Per lui, essa non è una realtà oggettiva, ma una fragile costruzione sociale, un equilibrio di convenzioni, regole non scritte e sguardi che approvano o condannano.

La normalità diventa uno specchio deformante, in cui la società riflette le proprie paure e i propri pregiudizi. Gli stigmi sono le ombre che questa normalità proietta su coloro che escono dagli schemi. Sono ferite invisibili che non colpiscono solo il corpo, ma soprattutto l’anima.

Una cicatrice, una disabilità, un’identità diversa diventano i segni con cui la società etichetta e riduce l’individuo a una sola caratteristica. Per Goffman, lo stigma non è un attributo intrinseco della persona, ma una relazione sociale, un atto di giudizio, un’etichetta imposta attraverso lo sguardo di chi stigmatizza.

Il teatro dell’ipocrisia sociale

Nella normalità si nasconde una contraddizione: chi è considerato normale spesso indossa una maschera, per evitare a sua volta di essere stigmatizzato. Chi è etichettato, invece, deve convivere con la vergogna o con il desiderio di ribellarsi alle norme che lo marginalizzano.

Tuttavia, Goffman non si limita a descrivere questa dinamica oppressiva. Il suo pensiero ci suggerisce che una società sana non è quella che glorifica una normalità rigida, ma quella che abbraccia la diversità.

  • Una società più giusta è inclusiva, non giudica ma comprende.
  • Ogni stigma nasconde una storia umana che merita rispetto e ascolto.
  • La vera sfida non è eliminare la differenza, ma ridefinire il concetto di normalità.

Errori fondamentali nell’interpretazione di stigma e normalità

  •  Lo stigma è un prodotto sociale: non è una realtà oggettiva, ma una costruzione per escludere
  • La normalità è un’illusione: non esiste uno standard universale, ma solo norme dettate da chi detiene il potere.
  • L’esclusione non è giustificata: ciò che è stigmatizzato non è segno di inferiorità, ma della paura sociale della diversità.

Perché approfondire queste idee?

Questo testo ci invita a ripensare la normalità e a comprendere come lo stigma modelli le dinamiche sociali. Ci mostra che stigmatizzare non è solo un problema di chi è escluso, ma anche di chi esclude.

Capire lo stigma significa vedere le fragilità della società e diventare promotori di un mondo più giusto e inclusivo.

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